Cari amici,
nei giorni scorsi siamo stati in Guatemala e più precisamente a San Marcos, una città di 50.000 abitanti, unita a San Pedro, un altro comune leggermente più piccolo (35.000 abitanti); la città si trova a 2,389 metri sul livello del mare ed il tempo in questo periodo è molto freddo, per cui di notte si raggiungono i 5 o 6 gradi.
In questo momento un terzo della popolazione di questa città è “damnificado” e ci sono circa 10.000 persone che sono ospitate o, dicono loro, “auto-albergadas”, poiché in effetti la mancanza di centri di prima accoglienza (“albergues”) ben attrezzati obbliga molti ad auto-rifugiarsi nelle case dei vicini o parenti, o dove possono, questo perché il freddo non gli consente di dormire all’aperto. Per mangiare, invece, si ritrovano negli “albergues” o vanno alla mensa che il governo ha aperto nella piazza centrale, anche se molti non vanno perché dicono che é poco igienica e ci si ammala.
In effetti, in questo momento, il problema più grande è la mancanza di aiuti.
Il Governo locale pare abbia messo a disposizione questo “mega-comedor” nella piazza centrale per distribuire i pasti e ha promesso di dare materiali (per un totale di 30.000 quetzales per famiglia, circa 4.000 dollari), se si considera che dovrebbero servire a ricostruire una casa ci si rende ben conto che è davvero poco.
In questo momento ci sono gli ingegneri del governo che valutano casa per casa quelle da demolire e ci scrivono sopra “demoler”, poi passano le ruspe, vengono demolite circa 100 case al giorno. Immaginatevi un centro abitato, una città densamente popolata, con le ruspe che distruggono una casa ogni tre, vedendole si ha l’impressione che stiano radendo al suolo la città.
Delle 119 scuole solo 3 sono rimaste in piedi. Anche per questo non ci sono grandi “albergues”, perché non ci sono strutture grandi che non abbiano sofferto danni. L’università locale è inagibile, la sede del municipio e della provincia pure. Le case di “adobe” (un impasto di argilla, paglia e sabbia essiccato al sole) sono tutte distrutte, così come molte di quelle costruite in cemento. Ci hanno spiegato che il problema è stato che, benché l’epicentro sia stato nel mare, per un effetto creato dalla onde sismiche, nel centro della città c’è stato un movimento verticale del suolo che avrebbe dislocato le travi portanti di molte case.
Tutti gli “albergues” che ci sono sono concentrati nella cittá di San Marcos, perché a San Pedro non è rimasta nessuna struttura pubblica agibile e adatta a creare un rifugio.
Il nostro lavoro è partito proprio da alcuni di questi “albergues” ed in particolare uno: accoglie in tutto 23 famiglie, oltre a un gruppo di volontari messicani, i “topos aztecas”, piuttosto famosi in centroamerica, che in circostanze come questa aiutano nelle ricerche dei sopravvissuti e dei cadaveri. La casa è ben fatta e non ha sofferto danni.
Con loro abbiamo preso un primo accordo per utilizzare il refettorio, fuori dalle ore dei pasti, come aula scolastica per riunire i bambini di vari “albergues” e iniziare un lavoro di tipo educativo con loro. In principio, abbiamo identificato altri due rifugi molto vicini (appena due “cuadras”), uno di 41 famiglie e uno di 400 persone, entrambi fatti all’aperto (in condizioni veramente indescrivibili); in realtá, peró, pare che nella zona ci siano almeno 8 “albergues” di questo tipo.
Per ora il nostro lavoro sarà quindi questo, educativo, anche se poi secondo le necessitá abbiamo detto che saremo certamente disposti ad aiutare in tutto ciò che sarà necessario.
I nostri volontari verranno ospitati dalle famiglie locali e negli “albergues”.
Il prossimo fine settimana, insieme al turno dei volontari provenienti dallo stato di El Salvador, porteremo anche gli aiuti raccolti lì.
Vi terremo informati sul proseguimento del lavoro, ora l’importante è non abbandonare queste persone, ma continuare a lavorare, interessando anche la comunità internazionale, perchè ciò che appare subito molto evidente è che, diversamente dalle altre emergenze, qui gli aiuti arrivati sono veramente pochi, mancano persino i beni di prima necessità. Occorre mobilitarsi, presto, tutti per ridare una speranza a queste persone.
Un forte abbraccio, anche da parte di tutte queste persone, a presto.